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Di un viaggio in Scozia, di una porta e della memoria della paura.

Di un viaggio in Scozia, di una porta e della memoria della paura

Poco tempo fa, mentre scambiavo alcuni messaggi con un amico, mi è tornato in mente che non ricordavo più quanti anni sono che c’è un viaggio in Scozia in sospeso.

Involontariamente, il mio interlocutore mi ha messo di fronte ad una porta. Quella porta. Di quelle che ogni tanto apriamo, per poi richiuderle. Perché al di là della soglia c’è il nostro essere nel futuro. Di quelle, insomma, che quando finalmente le varchi (e fai un significativo passaggio evolutivo) e ti guardi indietro quasi sempre pensi: ma non era poi così difficile, in fondo.

Solo che prima di farlo ci sei tu che, se va bene, la tieni aperta per un tempo indefinito, senza fare nulla che ti permetta veramente di andare oltre. Se va male, la chiudi e te ne vai.

Messa di fronte alla mia porta, nuovamente socchiusa da quelle poche parole, la prima emozione è stata: paura. Anzi no, che dico: terrore! Puro, semplice, conservativo.

Come può il solo pensiero di un viaggio in Scozia (terra di casa per me) scatenare tanto e con tanta immediatezza?

Quando ci si guarda indietro, alle esperienze vissute, ai salti evolutivi fatti, che siano tanti o pochi sono sempre momenti che hanno inciso nella nostra vita un passaggio. Dichiarano un prima e un dopo. Li ritroviamo nella mente, a me capita spesso di perderne i particolari, ma il senso profondo dell’esperienza nella sua totalità rimane. E con lui, per la prima volta mi sono resa conto che rimane non la paura, ma la memoria della paura. Del fallimento come un non saper fare bene, ma anche del credere di essere in grado di saper fare e di poter realizzare il nostro vero senso in questa vita. Come un fantasma che ci rimane accanto, una reminiscenza di noi nel prima, un velo di nebbia che non ci lascia mai. Non interagisce attivamente con la nostra quotidianità, ma ci avvolge, ci accompagna giorno dopo giorno, ci sussurra che rimanere invece di partire, che camminare (piano) invece di volare è meglio, è sicuro, ci porterà comunque lontano (dietro casa, al massimo), protetti o almeno senza troppe ammaccature. Peccato che però questo è, alla fine, uno scivolare nella passività, nella routine sicura e calma di giorni lenti, tutti un po’ uguali. Fino a quando l’insoddisfazione torna, sotto forma di lamentela: ambientale, sociale, personale. Di: “tanto figurati se cambiano le cose”, “eh ma sei bravo tu…beato te che riesci in tutto!”, “ma non ce la farò mai, quindi perché provarci?, “vorrei ma non posso/non è il momento/chissà forse un giorno…”, “si ma ci sto provando, con calma, in fondo tutti abbiamo i nostri tempi no?!”. Vi dice niente tutto questo?

Se pensi ai fantasmi, non puoi immaginarli concreti, non hanno né un peso né una forma definita. Sono una sensazione, un’idea, un pensiero, e possono essere anche quella credenza limitante che pervade il qui e ora. E ci fa chiudere la porta sulla visione di noi nel futuro, su quel futuro desiderato che ha tutta un’altra direzione rispetto al presente.

La memoria della paura è una coperta di Linus, è quel tenere a noi qualcosa che conosciamo proprio perchè l’abbiamo già affrontata (ma dimentichiamo che l’abbiamo anche vinta e superata), la famosa zona di comfort dentro cui ci rifugiamo convinti che lì e da lì si possa vivere. Poco importa che ci si viva male, senza veder realizzati i nostri sogni, alla fine.

La possiamo trovare in tutte quelle azioni fatte per conservare ciò che ci sembra sano, sicuro per noi. La possiamo cercare con delle domande: cosa mi impedisce di progettare quel viaggio? Cosa non mi sta permettendo di inviare il mio curriculum? Cosa mi ferma dal decidere una data e muovermi verso un obiettivo? E cosa posso fare per realizzare tutto questo? Di cosa e di chi ho bisogno per agire? Quando lo farò?

I passaggi evolutivi sono un navigare a vista: non ce n’è mai uno uguale all’altro. Né un tempo uguale per tutti. A volte avvengono quando meno te lo aspetti, altre alla fine di un percorso fatto con tenacia e determinazione. Altre ancora con un semplice scambio di messaggi. Ma sempre si realizzano solo se sviluppiamo la capacità di vedere e ascoltare i segnali della vita, cogliendo l’occasione per tenere aperta la porta su quello specifico momento tra un prima e un dopo.

E voi, qual è il vostro viaggio al di là della memoria della paura?

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