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Gli adulti gifted e il lavoro

Essere una persona, bambino o adulto che sia, plusdotato e altamente sensibile significa molte cose.

Ad esempio, che sei probabilmente molto attento in quello che fai e che quando sei anche motivato, naturalmente tendi a pensare a tutto in maniera molto profonda e accurata.

Tuttavia, questo significa anche che contemplare le mille sfumature di una questione può portare ad un pensiero eccessivo che, altrettanto rapidamente, va a trasformarsi in stress e in ansia tanto forti da bloccare produttività e creatività.  

L’intelletto dei gifted funziona in maniera atipica, con un pensiero veloce, analitico, ramificato e profondamente connesso con varie forme di ipersensibilità, tra cui quella emotiva. E a volte tutto questo avviene e si manifesta in una forma schiacciante. Dire ad un gifted “Non preoccuparti, passerà” oppure “Non esagerare, non è tutto o bianco o nero” equivale a non saper vedere le caratteristiche peculiari di una neurodiversità. Oltre a non portare molto sollievo alla persona in difficoltà.

La prima a definire i contorni dell’ipersensibilità fu la dottoressa Elaine Aron che negli anni ’90 coniò il termine persone altamente sensibili proprio osservando come alcuni di noi fossero facilmente sovrastimolati ed emotivamente reattivi, riuscendo ad elaborare le informazioni in modi più complessi, e con una maggiore consapevolezza delle sfumature sia degli eventi che delle persone, rispetto ad altri.

Le sfide nel lavoro

Se ne parla sempre troppo poco, secondo me. Se da una parte è essenziale riconoscere e sostenere i bambini gifted e ipersensibili, è altrettanto fondamentale porre attenzione alle generazioni di adulti che oggi, alcuni non del tutto consapevoli dei propri doni, vivono con difficoltà e molti pregiudizi su sé stessi soprattutto l’ambito lavorativo.

Sempre più spesso:

  • i dipendenti che sono altamente sensibili sperimentano livelli maggiori di stress lavorativo rispetto agli altri. E questo, se poi riguarda le donne, può divenire fonte di dinamiche altamente negative sia interne a sé stesse (per cultura) che con l’ambiente lavorativo.
  • Chi fa un lavoro di aiuto (dottori, infermieri, operatori socio sanitari ma anche insegnanti e dirigenti scolastici) ed è altamente sensibile può essere più a rischio di bornout perché più influenzato dal dolore dei pazienti o dal peso della responsabilità nel proprio lavoro rispetto a chi non è PAS.
  • Poiché le PAS reagiscono con più profondità alle emozioni degli altri, rischiano più facilmente di essere influenzati dalle critiche al punto da diventare persone sgarbate e poco gentili, creando non poco sconcerto.
  • In ambienti in cui viene sponsorizzato un modello di lavoro senza limiti di orari, le persone altamente sensibili rischiano più facilmente di ammalarsi proprio perché sono persone diligenti e fedeli che spesso si mettono in secondo piano.

La sensibilità non è una debolezza 

È infatti un punto di forza proprio perché connesso a comportamenti ad alte prestazioni in cui coscienziosità ed empatia sono tra i fondamenti più saldi. Tuttavia, per imparare a sfruttare questi vantaggi, è importante imparare prima a bilanciare i lati negativi come l’iperanalisi, l’ansia per preoccupazioni non essenziali e la sindrome dell’impostore che troppo spesso prevalgono, prendendo il sopravvento nella quotidianità. Vediamo come.

Utile o inutile?

Parlo spesso dell’importanza di un dialogo interiore equilibrato. Questo perché, quando il pensiero su un determinato fatto diventa eccessivo, è praticamente automatico per un gifted creare delle vere e proprie distorsioni cognitive, ovvero convinzioni automatiche del tutto prive di fondamento logico che vanno a rafforzare le emozioni negative fino ad intrappolarci in un loop senza fine.

È un pensiero irrazionale quello che ci fa dire “Devo essere perfetto altrimenti non valgo nulla” o quello che ci fa affermare “Non ha ancora risposto al mio messaggio, quindi non gli sono simpatico/a”, o ancora quello che ci porta a dire “Aveva un tono diverso al telefono, sicuramente sta pensando di lasciarmi”.

Se tutto questo ti suona familiare, credo che valga la pena che tu scelga di dedicare un po’ di tempo a riflettere più profondamente su questo tipo di pensieri, magari iniziando a riconoscere – prima che prendano il sopravvento nella tua vita – quanto poco ti sono utili e decidendo che puoi tranquillamente farne a meno.

Dagli un tempo

Lo abbiamo già visto: dirti o sentirti dire che “va tutto bene, non preoccuparti” oppure “devi superarlo e andare avanti” ha lo stesso effetto del cercare di far entrare una palla in una scatola piccola e quadrata: prima o poi (ed è sempre più prima che poi) o cede la scatola o il pallone schizza via. Per questo, rispettarsi per ciò che si è, sviluppando gentilezza e accoglienza, può significare anche definire un tempo per dare sfogo ai propri pensieri negativi.

Puoi scriverli, oppure immaginare di essere su un palco di teatro e farne la tua migliore rappresentazione di tragedia shakespeariana. Non importa come scegli di dare libero sfogo a ciò che senti e pensi in quel preciso istante, l’importante è che tu stabilisca un tempo di inizio e di fine. E per farlo, può aiutarti chiederti: quanto tempo riuscirei a stare in compagnia di una persona noiosa, sgarbata e cafona?

Piano piano, ti accorgerai che questo tempo si ridurrà all’essenziale perché avrai maggiore consapevolezza di te e delle tue modalità di azione.

Cinque nuovi punti di vista

Qualsiasi sia la narrativa con cui ti definisci o definisci quello che ti sta accadendo, fermati e guarda la tua mano, immaginando che ogni dito sia un punto di osservazione diverso su cui puoi ragionare.

Ad esempio, potresti chiederti: ho tutte le informazioni che mi servono per comprendere cosa sta accadendo in questo momento? Cos’è che non sto considerando in questo preciso istante? Cosa mi direbbe il mio migliore amico o il mio coach? Se chiedessi aiuto o facessi una domanda, cosa cambierebbe?

Prima sii gentile con te stesso, e poi sii generoso con il tuo pensiero: conosci bene quanto può ripagarti in termini di innovazione e rapidità di risoluzione!

Recupera e delega

Perché molti gifted hanno trovato giovamento nel lavoro in smart working, in questi mesi? Perché per molti di loro è difficile gestire la sovrastimolazione che vivono quotidianamente in ufficio. Riunioni fiume, una dietro l’altra, chiamate continue, le voci dei colleghi (pensate a chi lavora in open space…), il rumore di stampanti, tastiere, i cellulari che squillano tra messaggi e social.

Che tu stia tornando a tutto questo o ad una parte di questo, oppure che tu rimanga a casa a lavorare mentre i tuoi figli non sono ancora tornati a scuola e forse parte della loro didattica si svolgerà di nuovo in casa con te, puoi provare ad organizzarti tempi di recupero tra un appuntamento e l’altro, o tra i tuoi impegni di lavoro e quelli di genitore.

Dieci o quindici minuti di intervallo tra una cosa e l’altra saranno un cuscinetto che ti consentirà di gestire meglio la sovrastimolazione: potrai usarli per ascoltare una musica rilassante, o per guardare al volo i social, oppure per lavare i piatti e fare qualcosa di materiale.

Puoi anche – e so che non è sempre così facile pensarci – chiederti quale parte del tuo lavoro puoi delegare. Non essere così certo che la risposta sia: nessuna. Riflettici sapendo che in gioco c’è il tuo benessere.

Se sei già rientrato al lavoro e tutto questo ti sta aiutando a gestire meglio la tua ipersensibilità ma senti che qualcosa ancora manca, prenota la tua sessione discovery e raccontami di cosa senti il bisogno in questo momento. Come sempre, se potrò esserti di aiuto, ne sarò più che felice!

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