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Come ti vedo, come mi vedi

Qualche giorno fa sono inciampata in un post su Instagram che mi ha colpita.

L’invidia è ammirazione segreta.

In-videre, guardare l’altro separato da me, in malo modo, perché ha qualcosa che io non ho, perché sa fare cose che non mi riescono, perché ha fortune che io non ho e forse non avrò mai.

Per invidiarti devo vederti, notarti, fare caso con cura a ciò che hai o che fai. E quindi si, per arrivare all’invidia forse passo davvero per un attimo dall’ammirazione di te. Tu sei ciò che io non sono, tu fai ciò che io non so se potrò mai realizzarlo. E mi rode. Mi fa stare male vedere il mio non essere, non fare, non riuscire. E se non ho voglia di comprendere come posso essere o fare, allora guardo te. E ti invidio. Ti osservo con astio, ti scredito persino, oppure ti rubo le idee, provo a fermarti. O solo a portarti via un po’ di energia, a farti sentire in colpa delle tue fortune, a farti credere che sei sbagliato e che in fondo in fondo non sei poi così straordinario come tutti ti dicono.

Questa dell’invidia è una trappola densa per un plusdotato. Perché avere talenti e caratteristiche specifiche lo rende sicuramente differente da altri e molto evidente, ma la percezione che un gifted ha di sé stesso non è di diversità. La diversità arriva dagli occhi degli altri, non dai suoi. Il suo essere speciale non è una condizione che sente, se non quando gliela mettono addosso quasi fosse un vestito da indossare. A volte c’è chi lo fa con orgoglio e sostegno, altri più spesso come uno stigma, un segno, una sorta di lettera scarlatta che non gli permetterà mai di nascondersi veramente.

Ma come sempre, il cambio di visuale può mostrare le cose da un’ottica differente.

Invidia come ammirazione segreta. E l’ammirazione è godere di quello che si vede, provare piacere in un gesto, nelle parole, nella musica che trasmetti o nei quadri che dipingi o anche semplicemente della brillantezza del tuo essere al mondo.

Ti ammiro perché sei qualcosa di bello sul mio cammino, ti ammiro perché forse posso essere ispirato da te. Ti ammiro perché sì, hai talento, sei bravo, tutto o quasi di quello che fai o intraprendi sembra riuscirti bene, ma se ti osservo meglio vedo quanto impegno ci metti anche nelle cose più semplici. Se ti vedo meglio, se provo a fare dell’ammirazione un’arte vera, posso provare a comprendere veramente cosa significa per te successo. E cosa significa quel tuo cadere che ogni volta è “emozione a fior di pelle e pensieri a limite dell’infinito” andata e ritorno, senza fine.

Quando un plusdotato vi attraversa la vita, siate lievi. Ciò che fa, ciò che è non è fortuna e basta. È spesso lotta quotidiana con emozioni e sentimenti che non sa facilmente disciplinare, e di cui può persino vergognarsi per quanto sono forti.

Quando incontrate un gifted, di qualsiasi età, non ditegli “a te viene tutto così bene!” perché non è proprio così. Dietro ogni suo successo c’è un mondo infinito di pensieri, dubbi, paure di fallire, ricerca di perfezione impossibile e frustrazioni assurde a cui si sottopone senza tregua.

Quando guardate un gifted negli occhi, sorridetegli con il cuore. Perché è molto probabile che sia lui ad invidiare voi e la vostra vita senza tempeste emotive, senza quel cervello che non smette mai di girare, neanche nel sonno, senza le mille domande, senza quel fuoco che spinge ma a capire dove è sempre una gran fatica.

E sì, invidiatelo se volete, ma di invidia che vi ispiri ad essere migliori ogni giorno un po’ di più. Di quell’ammirazione che vi faccia venir voglia di provarci, ad essere speciali, per voi stessi e per la vostra vita. Perché che si abbia un talento e un’intelligenza superiore alla media oppure no, tutti abbiamo le capacità di fare della propria vita un piccolo capolavoro.

E per chi sente l’invidia addosso come una coperta troppo pesante, il cambio di ottica potrebbe essere proprio imparare ad ammirarsi. A vedere le cose belle che si fanno, ad osservare con gli occhi di un vero ammiratore il proprio agire di ogni giorno. Come quando si è di fronte ad un’opera di assoluta bellezza, che toglie le parole e alimenta i pensieri di bellezza e di stupore.

Quanta energia può generare, dunque, l’essere indulgenti con sé stessi e con gli altri? Quanto spazio si crea alla vera manifestazione di un talento nel momento in cui si vive nell’ammirazione spudorata e generatrice l’uno dell’altro?

Abbiamo bisogno di questo, abbiamo veramente bisogno di guardarci e di vederci con occhi diversi, di non osannare più la diversità come un difetto ma di elevarla all’ennesima potenza affinché sia lo sprone, la scintilla di un nuovo modo di essere insieme, di un nuovo passo cooperativo che generi un futuro fatto di speranza concreta, tangibile.

Abbiamo bisogno, io credo, di toccarci l’anima con occhi stupiti. Tutti. Amando le nostre differenze, sostenendole, amplificandole, colorandole.

Perché lì dove passa l’ammirazione, non può più crescere l’inadeguatezza.

(Foto di Matheus Ferrero su Unsplash)

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